COME ATTRARRE RISORSE IN AZIENDA?

Cosa accade quando il lavoro non manca ma a segnare il passo sono i lavoratori? Come affrontare un vuoto di risorse che genera ripercussioni anche sullo sviluppo dell’azienda? Quali strategie adottare per rendere un contesto professionale appealing? Come rispondere alle mutate esigenze dei collaboratori? Se lo stanno chiedendo ormai da molto tempo le imprese italiane che, post Covid, si trovano a fronteggiare una “crisi al contrario” rispetto ai paradigmi classici, in cui a mancare era il lavoro e non il personale. A “soffrire” maggiormente di questa carenza sono soprattutto le PMI, a prescindere dal comparto di riferimento. Il fenomeno è semplice: gli imprenditori vogliono assumere, ma non trovano figure disponibili. La colpa? Se per molti il reddito di cittadinanza ha contribuito ad inasprire questa situazione, per altri, invece, le ragioni sono più profonde e parlano la lingua di un nuovo modello di società. “La propensione delle famiglie italiane al risparmio è ancora rilevante. Questa attitudine ha consentito negli ultimi trent’anni il diffondersi di una mentalità da società signorile di massa. Citando l’interessante diagnosi del sociologo Luca Ricolfi – puntualizza la professoressa Marina Puricelli, Tenured Lecturer del Dipartimento di Management e Tecnologia presso l’Università Bocconi – questo status sociale ha favorito la disoccupazione volontaria. Questa mentalità porta infatti i più giovani a bypassare le proposte di lavoro che vengono formulate loro quando ritenute poco coerenti con gli studi fatti, i risultati spesso eccellenti traguardati in termini di votazione e le aspettative di retribuzione”. Il veto ad accettare una offerta è inoltre fomentato da altri fattori: deterrenti sono, ad esempio, il settore “troppo tradizionale” da cui proviene la proposta e la rilevanza in termini di immagine dell’azienda. Un brand ritenuto poco altisonante o noto sul mercato non è uno stimolo all’inserimento. Questi dinieghi sono spesso supportati dalla famiglia, che permette al giovane di essere disoccupato volontariamente senza fagli mancare nulla. Ne consegue che, per un ragazzo, proseguire senza darsi un limite di tempo nella ricerca di un lavoro ideale sia la scelta naturale.

Professoressa Puricelli, se la “società signorile di massa”, come definita da Ricolfi, ha sicuramente impattato sull’attuale stato dell’arte, esistono a suo avviso altre cause alla base di questa difficoltà cronicizzata nel reperire le risorse?

 E’ evidente che il problema di vuoto di risorse con cui ci stiamo confrontando, sia il frutto di fattori di contesto e culturali, strettamente connessi e interdipendenti tra loro. Penso ad esempio al rilevante calo demografico con cui il nostro Paese si trova a fare i conti ormai da molto tempo. La riduzione di nascite, in un’ottica di medio e lungo periodo, non facilita, anzi finisce con il determinare la mancanza di personale impiegabile.

Ma le motivazioni sono anche altre e hanno a che vedere con i risultati conseguiti dai laureati…

I giovani che si stanno laureando in questi anni hanno spesso votazioni altissime, che si fanno volano per aspettative altrettanto elevate in termini professionali. Sia da parte del ragazzo che della famiglia, accettare proposte lavorative considerate non abbastanza valorizzanti del percorso scolastico fatto, non è dunque ipotizzabile. Meglio dire di no e attendere qualcosa di meglio.    

Le aspettative si scontrano però con la realtà del tessuto economico del nostro Paese…

Esiste un gap obiettivo tra la domanda formulata dalle PMI e la risposta delle risorse che, a livello di corsi universitari, non vengono correttamente formate rispetto alle richieste del mercato italiano. In soldoni: la loro preparazione, seppur di indubbio valore, non è conforme ai bisogni reali delle piccole e medie imprese del nostro Paese. Non stupisce così che molti neolaureati prendano la via dell’estero, dove possono trovare un posizionamento in società in cui esprimere le loro competenze appieno e stipendi adeguati.

In questo panorama di disequilibri, come possono concretamente intervenire le PMI per generare interesse e trovare risorse?

Due i punti di intervento. Il primo consiste nell’esprimere anche verso l’esterno la propria proattività nel generare progetti nuovi e sfidanti, in cui il giovane possa misurarsi e sperimentarsi anche in autonomia. Il secondo richiede invece di sottolineare la diversità rispetto alle grandi multinazionali, che di processi e procedure fanno la loro essenza. Le piccole e medie imprese, invece, mettono al centro le relazioni e fanno delle persone il loro focus. Sangalli SPA, ad esempio, è da sempre promotore di una visione persona-centrica, in cui le risorse sono patrimonio basilare per l’azienda e trampolino per concorrere alla sua evoluzione.

Se trovare figure disposte ad entrare a far parte del team aziendale è spesso problematico, anche mantenerle nel proprio organico non lo è. Come intervenire per garantire una continuità?

L’inserimento è fondamentale per assicurarsi la permanenza della risorsa. Il giovane deve essere curato, supportato e motivato, ma anche debitamente responsabilizzato e reso autonomo. E’ importante che si possa sentire parte di un progetto di valore, in cui anche il suo contributo è primario.

In questo processo, un ruolo di primo piano lo gioca l’HR Manager…

Oggi la figura dell’HR è ancora più importante che in passato. Ascoltare, orientare, valutare e valorizzare le persone, sostenendole anche in momenti di criticità e nell’affrontare le loro fragilità, non deve però essere solo un suo compito. Questa mentalità di ascolto e sostegno, per essere efficace, deve infatti permeare tutta l’organizzazione aziendale a partire dai responsabili dei singoli reparti.

Esiste una “ricetta” che le PMI possono adottare per invertire rotta?

Non ho ricette per invertire questa mentalità e nel caso le lascio a chi è più titolato di me ma almeno, da adulti, prendiamone atto. Il lavoro nobilita, qualsiasi esso sia e indipendentemente dal titolo di studio raggiunto. Non permettiamo però ai nostri ragazzi, derubricati a consumatori esigenti, di diventare dei disoccupati volontari e, parallelamente, non lasciamo le PMI, vero motore dell’economia italiana, senza le loro giovani menti e braccia.

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